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La curiosa ciclicità della democrazia (parte III): crisi e distacco

  • Francesco
  • 15 gen 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Con le dimissioni delle ministre di Italia Viva, Bellanova e Bonetti, si è ufficialmente aperta l’ennesima crisi di governo. Una crisi che ha raggiunto così una fase di aperta rottura dopo settimane in cui era rimasta allo stato latente. Il presidente del consiglio Giuseppe Conte è ora chiamato ad un passaggio in aula per un voto di fiducia, nella speranza che i cosiddetti “responsabili” permettano una sopravvivenza del governo a guida PD-5 stelle. I fatti sono stati presentati, la decisione di Renzi, leader di Italia Viva e architetto della crisi odierna, irrevocabile: tutto dovrebbe essere chiaro e delineato. E invece no.

Se, da un lato, la crisi giunge in un momento drammatico della storia contemporanea, con un paese che conta ormai più di 80mila morti, una situazione economica che si prospetta fosca e con una tensione sociale che pare sul punto di esplodere, dall’altro essa non può che rappresentare l’ennesimo incomprensibile voltafaccia di una classe politica sempre più confusa e schiava del consenso elettorale. Le conseguenze sono presto delineate: l’insofferenza dell’elettore occasionale, la rabbia dei partigiani più convinti.

La prima, problematica, reazione è la più ovvia: il cittadino che non si interessa di politica, che esprime un voto di lunga e radicata tradizione familiare, che si riconosce in un pensiero che vede incarnato solo in modo parziale da una compagine politica non comprende i motivi o le necessità dell’ennesimo caso di egoismo politico. Questo prototipo di elettore vedrà sempre con più distacco e perplessità al mostro politico; cercherà di ritagliarsi uno spazio di conforto nella sua esistenza dove quel mostro non possa entrare, rinunciando per sempre alla cosa pubblica.

La seconda reazione è senz’altro la rabbia: chi ha sostenuto la maggioranza non può che porsi degli interrogativi e, di qualunque fattura essi siano, condurranno alla rabbia. Prendiamo alcuni esempi assai gettonati sui social: l’elettore medio del Partito democratico si chiede “ma se il piano del recovery fund era fatto bene in principio, perché è stato modificato dopo le proteste di Italia Viva? Perché il mio partito non si è mosso per il bene degli italiani? Siamo veramente così asserviti al Movimento 5 stelle?”. E così dalle altre compagini, “come mai il Movimento ha fatto un governo con le persone che aveva giurato di distruggere come Renzi e il partito di Bibbiano?”. Ed è così che i nodi vengono al pettine, il trasformismo, gli ideali traditi, le parole rimangiate: tutto torna a galla. E non resta che la rabbia. La situazione non migliora se si guarda all’elettore destrorso, questo si chiederà come mai la sua fazione che domina i sondaggi e che promette soluzioni ai problemi che vede nella sua quotidianità non riesca ad imporsi con le elezioni: dopotutto non c’è neanche un governo al momento, come mai la politica esita ad accogliere il volere popolare? Anche da questa parte non possono che evolversi i due sentimenti già evocati: insofferenza e rabbia. La prima per l’incomprensibilità della politica che nega il voto popolare (del tutto costituzionalmente), la seconda per lo stesso motivo, cambia solo il soggetto e l’interesse per la cosa pubblica.

La situazione è stata delineata, le cause e le conseguenze sviscerate, non resta che trarre le conclusioni. Un paese vessato dalla pandemia, dalla crisi economica (ne usciremo con un debito pubblico equivalente al 160% del PIL) e senza un governo non può permettersi il connubio di insofferenza e rabbia che va serpeggiando nelle stratificazioni sociali; ricordiamolo, dall’unione di questi due sentimenti sono emerse le più grandi tragedie della storia dell’umanità. Altri voltafaccia e trasformismi non sono più tollerabili, è nell’interesse del paese.

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