Arte mimetica e arte espressiva
- Francesco
- 25 ott 2020
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Nel corso della storia dell’arte risulta evidente una frattura verificatasi a cavallo tra XIX e XX secolo: da quel momento ogni evoluzione artistica della contemporaneità non ha potuto evitare il confronto con l’epocale rivoluzione.
Se con il Rinascimento e con i movimenti immediatamente successivi il concetto di “arte come imitazione della natura” era stato nuovamente posto come assoluta ambizione dell’artista (una vocazione che si è ulteriormente affermata con il Neoclassicismo settecentesco), con movimenti avanguardisti del primo Novecento la funzione dell’arte è radicalmente mutata. Alla figura plastica, definita e catturata nella sua bellezza naturale, l’artista novecentesco ha progressivamente preferito soggetti che sfuggissero ad una funzione mimetica. Si possono elencare moltissimi esempi del fenomeno: la pittura di Egon Schiele, massimo esponente dell’espressionismo austriaco, non ha il minimo interesse nella resa “realistica” di un elemento plastico, essa risulta subordinata ad esigenze appartenenti a sfere diverse da quella estetica. In primo luogo, una profonda necessità espressiva, traducibile dunque in termini psicologici e emotivi: in altre parole, il pittore trova nella contorsione dei corpi e nei colori lividi che spiccano sulla carne deformata delle figure, un mezzo per esprimere uno stato d’animo sofferente e carico di angoscia. In secondo luogo, Schiele non è estraneo ad una critica sociale e politica senza quartiere: nei suoi quadri la denuncia di una società malata e divisa profondamente tra ricchezza e miseria è una componente decisiva.
L’esempio fornito è particolarmente calzante all’evoluzione che si vuole delineare ma se ne potrebbero elencare innumerevoli: la pittura astrattista di Kandinsky, il Surrealismo di Magritte, l’espressionismo dai toni meno spasmodici di Matisse, il feroce Futurismo di Marinetti; tutte esperienze che hanno definitivamente voltato le spalle a esigenze mimetiche.
Definire con esattezza metodologica un fenomeno artistico è molto complesso, tuttavia una prima definizione del fenomeno è così riassumibile: la funzione che le correnti artistiche precedentemente definite mimetiche conferiscono all’opera d’arte è puramente estetica e solo nell’ambito estetico essa risulta comprensibile. Nella pittura rinascimentale, barocca o neoclassica anche nelle manifestazioni più grandiose, si pensi al Giudizio universale di Michelangelo o alle splendide sculture di Canova; in esse ogni eventuale rimando ideale rimane confinato in un orizzonte estetico: l’allegoria di una bellezza immortale e perfetta e il timore per le sorti ultraterrene dell’anima sono elementi che risultano incomprensibili in una dimensione non estetica. Se la comprensione di un dipinto di Caravaggio viene analizzato a partire da valori morali o etico-politici esso ne risulterà incredibilmente depotenziato e inafferrabile.
Al contrario, in una manifestazione artistica novecentesca il rapporto è diametralmente opposto: un’indagine puramente estetica lascerebbe il fruitore pieno di domande e persino inappagato dall’esperienza contemplativa. Proprio in questo è riscontrabile la più profonda differenza che la rivoluzione Novecentesca ha scavato con la tradizione: l’emancipazione da un orizzonte puramente estetico dell’opera d’arte. Di conseguenza, ogni manifestazione d’arte contemporanea non può evitare un’espansione verso le sfere dell’etica, della morale o della critica sociale.
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